Tardività della contestazione: natura sostanziale o procedurale del vizio del licenziamento?

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La Sezione Lavoro della Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, relativa alla natura procedurale o sostanziale del vizio del licenziamento in caso di tardività della contestazione, ai fini del regime sanzionatorio applicabile ex art. 18 della l. n. 300 del 1970, come innovato dalla l. n. 92 del 2012.

Trattasi dell’ordinanza interlocutoria 10159 del 21.4.2017 (sul sito della Corte la MOTIVAZIONE).

Con la legge n.92/2012 e con la nuova formulazione dell’art.18 legge n.300/70 è stato modificato il sistema sanzionatorio, che non è più imperniato sull’ordine di reintegrazione e che quindi non rende più indifferente, rispetto alle conseguenze, le diverse qualificazioni della tardività in termini di vizio procedurale oppure di vizio sostanziale, diversamente modulando le sanzioni applicabili al licenziamento disciplinare. La nuova norma prevede infatti la sanzione reintegratoria soltanto nell’ipotesi dell’insussistenza del fatto contestato ( art.18 commi 4^  e 6^), mentre applica il regime della risoluzione del rapporto, con sola indennità risarcitoria , nell’ipotesi di violazione della procedura di contestazione dell’addebito di cui all’art.7 legge n.300/70.

Nel caso di specie la Corte d’Appello di Firenze , dopo aver rilevato che l’inerzia del datore di lavoro nel contestare i fatti , protrattasi per un periodo decisamente apprezzabile anche con assegnazioni di nuovi incarichi di impegno e di contenuto professionale non inferiori, va letta secondo i canoni di correttezza e di buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c. , ha escluso la natura di violazione procedimentale, considerandola invece un presupposto del procedimento, antecedente ed esterno ad esso. Ciò comporterebbe , secondo la Corte fiorentina che, sebbene il fatto tardivamente addebitato sussista , anche con i connotati di gravità tali da configurare astrattamente una giusta causa, il potere di recesso verrebbe meno, comportando la naturale nullità del licenziamento che sarebbe “tamquam non esset, anche sul presupposto dell’ inesistenza di un interesse di non scarsa importanza allo scioglimento del rapporto (art. 1455 cod. civ.). Di qui, secondo la Corte territoriale, la conseguenza sanzionatoria di diritto comune, con condanna all’adempimento del contratto di lavoro e quindi alla riammissione.

La Corte rileva che in  tema di qualificazione della tardività la giurisprudenza della  Corte relativa a casi disciplinati dalla normativa precedente alla riforma introdotta con la legge n.92 /2012 , è concorde nel ritenere che l’immediatezza del provvedimento espulsivo configuri un elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento considerando non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore : così Cass.n. 20719 del 10/09/2013, come anche la più recente Cass. 2902/2015, che riconduce, in via interpretativa, il difetto di immediatezza della contestazione , alla disciplina del III e IV comma dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, incidendo la tardività sull’effettività della difesa; negli stessi termini si esprime Cass. n. 1995/2012 . Anche Cass. n.13167/2009 ritiene poi che in caso di violazione del principio di immediatezza della sanzione si determina una preclusione nel legittimo esercizio del potere datoriale che rende invalida la sanzione irrogata ed aggiunge che tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest’ultimo, tutelata “ex lege”.  Recentemente la Corte con la sentenza n.2513 del 31 gennaio 2017 si è pronunciata in fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, in relazione ad un licenziamento disciplinare tardivo, intimato sotto la vigenza della nuova disciplina introdotta dalla legge Fornero del 2012. La Corte ha ritenuto che un fatto tardivamente contestato a distanza di un anno e mezzo, dovesse essere ritenuto come “insussistente”, non possedendo l’idoneità ad essere verificato in giudizio. Secondo la sentenza detta tardività costituisce un vizio del procedimento che impedendo un’efficace difesa del lavoratore, porta a qualificare il fatto addebitato come fatto insussistente in quanto di per sé “inidoneo all’accertamento” in giudizio, precludendo ogni valutazione circa la reale esistenza degli addebiti . Per la sentenza un fatto non regolarmente contestato, dunque, non è fatto-inadempimento, avendo lo stesso datore di lavoro, con un comportamento concludente , dimostrato la scarsa rilevanza per lui di tale inadempimento. Conclude quindi la decisione che, trattandosi di un fatto non idoneamente contestato, esso è tamquam non esset e dunque insussistente .

Tuttavia dopo l’entrata in vigore della riforma legislativa dell’art.18 legge n.300/70 per opera della legge n.92/2012 la questione della tardività merita ad avviso di questo Collegio un’attenta valutazione discretiva , attesa la diversità delle conseguenze sanzionatorie specificamente stabilite in riferimento alle fattispecie distintamente regolate , al contrario della disciplina anteriore, di esclusiva previsione della tutela reintegratoria per ogni ipotesi di illegittimità, indifferentemente di natura sostanziale, piuttosto che formale, tenuto conto dell’ opzione legislativa che sembra individuare la tutela indennitaria quale regola sanzionatoria e invece la tutela reintegratoria come eccezione per le ipotesi specificamente tipizzate (licenziamento nullo, di cui all’art.art. 18, c.1°, e specificamente enucleate di licenziamento disciplinare di cui all’art. 18, c. 4 o per giustificato motivo oggettivo, ex art. 18, co. 7, prima parte, questa pure facolatativa). Per trarre quindi le conseguenze sanzionatorie del licenziamento disciplinare tardivo non appare sufficiente recepire la qualificazione dell’immediatezza della contestazione solo alla stregua di elemento costitutivo del recesso datoriale (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2902; Cass. 10 settembre 2013, n. 19115), anche tenuto conto che questa Corte ha già ritenuto la violazione del detto principio causa di illegittimità del licenziamento disciplinare, tuttavia non comportante la reintegrazione del lavoratore siccome non rientrante in alcuna delle previsioni dell’art. 18 I. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, ma una tutela limitata al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva (Cass. 9 luglio 2015, n. 14324). 19) Va infatti anche considerato che l’insussistenza del fatto contestato, con la conseguente applicazione della tutela reintegratoria, prevista dall’art. 18, c. 4° nella nuova formulazione , richiamata dal comma 6° per il caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento espulsivo, è stata ravvisata, in tema di licenziamento disciplinare, nella diversa fattispecie di radicale difetto di contestazione dell’infrazione in quanto determinante l’inesistenza dell’intero procedimento e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, dovendosi ritenere assolutamente privo di giustificazione un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito (Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745); 20)Pertanto, tenuto conto della distinzione, radicata su una corretta lettura del dato normativo, tra illegittimità del licenziamento disciplinare per “insussistenza del fatto contestato”, comportante una tutela reintegratoria (art. 18, c. 4°) e illegittimità del licenziamento per “altre ipotesi”, comportante una tutela indennitaria (art. 18, c. 5°), deve valutarsi se possa essere data continuità al recente orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n.2513 del 2017 che equiparando un fatto contestato con notevole ritardo, superiore all’anno, ad uno insussistente, siccome inidoneo ad essere verificato in giudizio, fa rientrare anche tale fattispecie nella prima ipotesi , dovendosi ricordare tuttavia che questa Corte si è già espressa diversamente, ritenendo che comporti una tutela indennitaria (art. 18, c. 5°)”la violazione del requisito della tempestività, che viene considerato elemento costitutivo del diritto di <recesso, a differenza del requisito di immediatezza della contestazione , che rientra tra le regole procedurali”(Cass. 6 novembre 2014, n. 23669).

In particolare seguendo l’iter argomentativo proprio di tale ultima decisione, si può indicare la diversa funzione della contestazione di addebito rispetto all’atto di recesso: a) il principio di tempestività della contestazione, avendo la funzione di consentire il confronto tra le parti, rendendo possibile l’esercizio di difesa del lavoratore e di tutela dell’affidamento del medesimo , appartiene a pieno titolo al procedimento disciplinare, così integrando vizio processuale del licenziamento (Cass. 5 aprile 2003, n. 5396), con le conseguenze risarcitorie previste dall’art. 18, c. 6° (per effetto dell’espresso richiamo in particolare dell’art. 7 I. 330/1970) o, eventualmente configurando, nel caso di tardività priva di alcuna giustificazione, un’ipotesi diversa dall’insussistenza del fatto contestato e pertanto rientrante nell’ingiustificatezza del licenziamento disciplinare, sanzionata dell’art. 18, c. 5°; b) la tardività del licenziamento disciplinare che rende invece tale atto ingiustificato, e non viziato procedimentalmente, con la conseguente sanzione indennitaria prevista dall’art. 18, c. 5°), in quanto la comunicazione della sanzione (nel presente caso l’intimazione di recesso) si collocherebbe al di fuori della procedura disciplinare, conclusa dalla presentazione delle difese del lavoratore, sicchè la ratio della tempestività del licenziamento risiederebbe nella tutela dell’affidamento del lavoratore e non anche nell’esercizio del suo diritto di difesa, già espletato a seguito della contestazione.

Si profilano pertanto due orientamenti contrastanti: a) l’uno che ritiene che la tardività né della contestazione, né del licenziamento, collocandosi sul diverso piano di conformazione al principio generale di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto di lavoro (Cass. 16 aprile 2007, n. 9071), non attinga sotto alcun profilo all’insussistenza del fatto contestato, comunque ricorrente nella sua essenza ontologica, indipendentemente dalla sua accezione in senso materiale (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669), piuttosto che giuridica (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20540); b) l’altro orientamento, cui può ricondursi la sentenza n.2513/2017, secondo cui la contestazione intempestiva, indipendentemente dalla sussistenza della condotta, ne dimostra l’irrilevanza ai fini della prosecuzione del rapporto, dove la valutazione di irrilevanza proviene dallo stesso datore di lavoro, il quale pur consapevole dell’illecito tenuto dal lavoratore , non ritiene necessario richiedere giustificazioni , manifestando la volontà di prosecuzione del rapporto , così dimostrando, per fatto concludente, la scarsa importanza dell’inadempimento ( art.1455 c.c.). Se una condotta ritenuta di scarsa rilevanza non può considerarsi inadempimento, la contestazione tardiva deve ritenersi irregolare non soltanto sotto il profilo procedimentale , ma anche sotto quello sostanziale, perché di fatto comporta un mutamento di valutazione di gravità della condotta da parte del datore di lavoro che ha subito tale condotta, in un momento successivo a quello in cui era stato invece manifestato un disinteresse per l’inadempimento ed un interesse invece alla prosecuzione del rapporto.

Per tale motivo il Collegio ha ritenuto opportuno rimettere il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte, in quanto la questione può essere qualificata “di massima di particolare importanza ” a norma dell’art.374 2°comma c.p.c..

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