Articolo 360-bis n. 1 c.p.c.: inammissibilità o rigetto?

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Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione decidendo la corrispondente questione, ritenuta di massima di particolare importanza oltre che oggetto di contrasto, hanno stabilito, rimeditando il proprio precedente orientamento, che, in presenza della situazione ipotizzata dall’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile e non rigettato per manifesta infondatezza.

Lo hanno fatto con sentenza n. 7155 del 21/03/2017; sul sito della Corte la MOTIVAZIONE.

La questione di cui le sezioni unite sono state investite – se, cioè, in presenza della situazione ipotizzata dall’art. 360-bis, comma 1, n° 1, c.p.c., il ricorso per cassazione debba esser dichiarato inammissibile ovvero rigettato – non appare meramente terminologica. Infatti, ove la si dovesse risolvere nel senso del rigetto, come già indicato da Sez. un.19051/2010, la Corte non potrebbe esimersi dall’esaminare nel merito anche un eventuale ricorso incidentale tardivo che fosse stato proposto dalla parte controricorrente. Viceversa la declaratoria d’inammissibilità del ricorso principale produrrebbe l’inefficacia di quel ricorso incidentale tardivo, dovendosi ritenere anche in tal caso applicabile il disposto dell’art. 334, comma 2, c.p.c., che siffatta conclusione impone quale che sia la ragione dell’inammissibilità del ricorso principale. 

Per rispondere al quesito concernente la sorte del ricorso proposto in difformità alla previsione del citato n°1 dell’art. 360-bis, non può non muoversi dal disposto letterale della norma: che si esprime in termini del tutto inequivoci nel senso dell’inammissibilità. Le ragioni teoriche in forza delle quali, nondimeno, la già richiamata decisione di Sez. un.19051/2010 aveva optato per il rigetto del ricorso, alla luce delle critiche che sono state al riguardo formulate e della successiva evoluzione che l’ordinamento processuale ha conosciuto, non possono qui esser confermate. Infatti non è più ormai condivisibile l’idea secondo la quale l’inammissibilità del ricorso potrebbe sussistere solo in presenza di difetti attinenti alla struttura formale del ricorso medesimo o alle modalità in cui il suo contenuto è espresso, restando estranea alla figura dell’inammissibilità ogni valutazione che attinga il merito. Al contrario, il legislatore ha fatto mostra di utilizzare a più riprese la categoria dell’inammissibilità, per facilitare una decisione in limine litis, anche in presenza di ragioni di merito che risultino agevolmente percepibili e siano perciò suscettibili di un più snello iter motivazionale: si pensi all’art. 348-bis c.p.c., dettato per il giudizio d’appello, pur nell’evidente differenza che quell’ipotesi d’inammissibilità presenta rispetto a quella qui in esame (se ne farà cenno in seguito), ma si pensi anche all’art. 606 c.p.p. in materia d’inammissibilità del ricorso per cassazione in campo penale. Ric. 2015 n. 09474 sez. SU – ud. 21-02-2017 . Non sembra d’altronde neppure decisiva, per contrastare la chiara indicazione ricavabile dal testo normativo, la circostanza che la valutazione di conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza della Corte, postulata dal disposto del citato n°1 dell’art. 360-bis, deve ragionevolmente esser compiuta al momento della decisione, potendo la giurisprudenza aver mutato orientamento rispetto al momento in cui il ricorso è stato proposto. Ciò è senz’altro vero, ma non impedisce di considerare in tal caso ammissibile (ed eventualmente fondato) un ricorso che, ove la giurisprudenza fosse rimasta invariata, sarebbe andato verosimilmente incontro ad una dichiarazione d’inammissibilità per non avere offerto elementi idonei a mutarne orientamento; come, del resto, non impedisce di pervenire alla medesima conclusione nel caso in cui la Corte ravvisi la necessità di mutare il precedente orientamento giurisprudenziale sulla base di una diversa valutazione operata d’ufficio. Il fatto, cioè, che la struttura della disposizione in esame imponga di valutare l’esistenza della eventuale ragione d’ammissibilità del ricorso al tempo della decisione non implica, di per sé, che non d’inammissibilità bensì d’infondatezza debba parlarsi, ma significa solo che possono darsi casi di ammissibilità sopravvenuta, dei quali la corte dovrà evidentemente tener conto nella sua decisione. E’ appena il caso di aggiungere che la situazione d’inammissibilità contemplata dall’art. 360-bis di cui si sta parlando lascia del tutto intatta, pur riducendone la portata applicativa, l’ipotesi di rigetto per manifesta infondatezza del ricorso contemplata dal successivo art. 375, che riguarda ogni altro possibile caso di infondatezza, manifesta sì ma non dipendente dall’assenza di ogni confronto critico con una precedente giurisprudenza consolidata. E’ opportuno aggiungere che le ragioni d’inammissibilità contemplate dal citato art. 360-bis possono investire anche soltanto singoli motivi di ricorso e non debbono perciò necessariamente comportare l’inammissibilità del ricorso nel suo insieme, ove questo consti di più motivi. Anche in ciò si evidenzia la diversità di questa situazione rispetto a quella contemplata, con riferimento al giudizio d’appello, dagli artt. 348 bis e ter c.p.c., i quali presuppongono invece l’impiego di una tecnica decisoria di tipo delibativo e prognostico volta a valutare l’impugnazione nel suo insieme, senza scrutinare nel dettaglio i suoi singoli aspetti. Ma il giudizio d’appello, a differenza di quello di cassazione, non è a critica vincolata, ed all’inammissibilità dell’impugnazione consegue la possibilità di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado. Per contro, una inammissibilità “sostanziale” e riferita all’intero ricorso per cassazione sarebbe destinata a chiudere il giudizio, e ciò conferma che non è ipotizzabile l’applicazione dell’art. 360 bis cod. proc. civ. alla stregua dell’art. 348 bis cod. proc. civ.. E’ stato inoltre già chiarito, poi, che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 47 della legge 69 del 2009, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (Sez. 6 – 3, n. 3142 del 2011).

  

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