Domande di garanzia e regresso: come si ripropongono in appello nel caso in cui non siano state esaminate in primo grado?

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La Sezione Terza della Cassazione con ordinanza n. 29499 del 21.12.2017 ha rimesso al Primo Presidente, ritenendola di massima di particolare importanza, la questione relativa alla necessità, per l’appellato – nel sistema di preclusioni introdotto con il d.l. n. 432 del 1995, conv. con modif. in l. n. 534 del 1995 e in forza del combinato disposto degli artt. 346, 347, 166, e 167 c.p.c. – di riproporre la domanda di garanzia o di regresso condizionata all’accoglimento della domanda principale già respinta in primo grado, a pena di decadenza, con la tempestiva costituzione in appello ossia entro i termini stabiliti per la costituzione nei procedimenti davanti al tribunale, oppure se la riproposizione delle dette domande possa essere effettuata anche successivamente e fino alla precisazione delle conclusioni.

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Nel primo grado del giudizio i ricorrenti avevano domandato in via principale il rigetto delle richieste risarcitorie degli attori e, in via subordinata, che l’obbligazione risarcitoria scaturita dall’applicazione dell’art. 2048 cod. civ. fosse attribuita o quantomeno estesa all’istituto scolastico, nonché di essere manlevati dalle compagnie con le quali avevano stipulato polizze assicurative: si tratta, all’evidenza, di domande condizionate all’accoglimento della pretesa avversaria (principale) di cui era stata chiesta la reiezione.

Nella motivazione si legge:

“Le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente statuito che «in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’art.346 c.p.c.» (Cass., Sez. U., Sentenza n. 7700 del 19/04/2016, Rv. 639281-01; a tale orientamento hanno successivamente aderito Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 832 del 16/01/2017, Rv. 642557-01 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5689 del 07/03/2017, Rv. 644659-01). Il suesposto principio di diritto, espressamente formulato con riguardo alla domanda di garanzia, si attaglia anche a quella di regresso, poiché anch’essa è rimasta assorbita in primo grado dal rigetto della richiesta risarcitoria degli attori: non sembra dunque corretto pretendere – come invece fa la sentenza impugnata – un appello incidentale proposto ritualmente (ex art. 342 cod. proc. civ.) e tempestivamente (a pena di decadenza) a norma dell’art. 343 cod.proc. civ. dalla parte convenuta (peraltro priva di interesse ad impugnare una decisione a sé favorevole), essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’ad 346 cod. proc. civ. Alla luce del menzionato orientamento giurisprudenziale affermato dal giudice della nomofilachia dovrebbe reputarsi errata la pronuncia di inammissibilità dell’appello incidentale contenuta nel dispositivo della sentenza della Corte d’appello di Venezia e fondata sul disposto dell’art. 343, comma 1 cod. proc. civ., inapplicabile alla fattispecie de qua.

Tuttavia, qualora la causa potesse essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., il ricorso non potrebbe essere definito cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale per la decisione sulle domande non esaminate (come invece richiede la parte ricorrente). Ad avviso del Collegio, è preliminarmente indispensabile stabilire se le domande degli odierni ricorrenti siano state tempestivamente riproposte in secondo grado e, quindi, se siano ammissibili. È pacifico che le predette istanze nei confronti delle compagnie assicuratrici e dell’istituto scolastico sono state riproposte al momento della costituzione in appello, avvenuta con comparsa depositata il 25 ottobre 2006 e, cioè, meno di 20 giorni prima dell’udienza fissata per 1’8 novembre 2006. Nella fattispecie viene in rilievo, dunque, non già il termine di 20 giorni prescritto dall’art. 343, comma 1, cod. proc. civ. per l’appello incidentale, bensì quello indicato dall’art. 347, comma 1, cod. proc. civ., disposizione che – nel richiamare per la costituzione in appello «i termini per i procedimenti davanti al tribunale» e, segnatamente, l’art.166 cod. proc. civ. per la parte “convenuta” in secondo grado – impone all’appellato di costituirsi «almeno venti giorni prima dell’udienza» fissata nell’atto introduttivo del gravame.Per esplicito disposto normativo (art. 343, comma 1, cod. proc. civ.) la tardiva costituzione dell’appellato preclude la proponibilità dell’appello incidentale. Nel caso de quo occorre invece domandarsi se la mancanza di una tempestiva costituzione comporti altresì la decadenza dalla facoltà di riproporre, a norma dell’art. 346 cod. proc. civ., le domande condizionate rimaste assorbite dal rigetto delle istanze avversarie oppure se, al contrario, tali domande possano essere riproposte in appello in un momento processuale successivo, finanche all’udienza di precisazione delle conclusioni. Pur avendo le Sezioni Unite della Corte recentemente fornito ampie e convincenti argomentazioni sul tema della riproposizione delle domande e delle eccezioni rimaste assorbite e sui diversi casi in cui, invece, la parte deve reputarsi soccombente ed è onerata dell’appello (Cass., Sez. U., Sentenza n. 7700 del 19/04/2016, Rv. 639281-01; Cass., Sez. U., Sentenza n. 11799 del 12/05/2017, Rv. 644305-01), nelle citate pronunce non è possibile rinvenire un chiaro indirizzo ermeneutico sulle modalità e, soprattutto, sui termini per esercitare la facoltà di riproporre domande ed eccezioni.

Per fornire risposta al suddetto interrogativo nella fattispecie in esame si deve premettere che la causa de qua è assoggettata ratione temporis alle norme codicistiche introdotte con la riforma del d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534 e applicabili ai giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, mentre non possono essere invocate le disposizioni del codice di rito nel testo modificato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge, 14 maggio 2005, n. 80, che si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 10 marzo del 2006. È necessario, pertanto, ricostruire il quadro normativo vigente al momento dell’appello per stabilire se l’ordinamento processuale allora vigente già individuava nel termine ex artt. 347, comma 1, e 166 cod.proc. civ. una barriera preclusiva alla proposizione delle difese dell’appellato. Come noto, la novella del 1995 ha introdotto un sistema basato su rigide preclusioni le quali comportano la decadenza della parte da varie prerogative processuali (la proposizione di domande nuove o riconvenzionali o di eccezioni di rito e di merito) oltre determinate scansioni temporali. Gli artt. 346, 347, comma 1, 166 cod. proc. civ., nella formulazione vigente dal 1995, non hanno subito modifiche nel 2005, mentre il testo dell’art. 167 cod. proc. civ. anteriore alla novella entrata in vigore il 10 marzo 2006 sanciva: «Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l’oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione. Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’art. 269.». Quanto alle eccezioni, l’avvio del processo in primo grado era scandito, fino alla novella del 2006, dall’udienza di prima comparizione ex art. 180 cod. proc. civ. e dalla prima udienza di trattazione ex art. 183 cod. proc. civ. ed era necessariamente assegnato «al convenuto un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di tale udienza [di trattazione] per proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio». Riassumendo – nel sistema processuale vigente tra il 30 aprile 1995 e il 10 marzo 2006, costituendosi in primo grado il convenuto era tenuto a «proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda» ed aveva l’onere di costituirsi tempestivamente (almeno 20 giorni prima dell’udienza di prima comparizione) per proporre domande riconvenzionali e chiamare in causa terzi, mentre la barriera preclusiva per le eccezioni non rilevabili d’ufficio era fissata al termine (ex art. 180 cod. proc. civ.) anteriore di 20 giorni alla prima udienza di trattazione; – dopo la novella del 2005-2006 (che ha unificato le udienze ex artt. 180 e 183 cod. proc. civ.) la barriera preclusiva per tutte le difese del convenuto (domande riconvenzionali, chiamate in causa, eccezioni in rito e di merito) coincide col termine per la costituzione tempestiva, fissato a 20 giorni prima dell’udienza di trattazione. 4. Con specifico riferimento alle disposizioni introdotte nel 1995, questa Corte ha affermato che l’appellato ha la facoltà di riproporre le domande e le eccezioni a norma dell’art. 346 cod. proc. civ. sino all’udienza di precisazione delle conclusioni: «Per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346, cod. proc. civ., la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, in modo chiaro e preciso le domande e le eccezioni (in senso stretto) respinte o ritenute assorbite, in qualsiasi momento del giudizio di secondo grado, fino alla precisazione delle conclusioni, non essendo applicabile al giudizio di appello il sistema di preclusioni introdotto per il giudizio di primo grado, con il D.L. n. 432 del 1995, convertito dalla legge n. 534 del 1995» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15427 del 10/08/2004, Rv. 575944-01; analogamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15223 del 19/07/2005, Rv. 582973-01, in cui, però, l’affermazione costituisce un mero obiter dictum posto che il Collegio osserva che «nella specie, peraltro, la ricorrente nella comparsa di costituzione in appello … ha fatto specifico richiamo alla domanda subordinata di garanzia, avanzata in citazione … assolvendo in tal modo pienamente all’onere sancito dall’art. 346 c.p.c., che presuppone appunto una riproposizione chiara e precisa della domanda proposta in via subordinata in prime cure»). La menzionata sentenza n. 15427 del 10/08/2004 – dopo aver rilevato che «da tempo, ad una giurisprudenza pressoché consolidata secondo la quale la riproposizione è ammissibile fino alla precisazione delle conclusioni … si contrappone una forte corrente dottrinaria (sorta soprattutto dopo la novella del 1995: di 18.10.1995 n. 432 convertito con modifiche nella L. 20.12.1995 n. 534) la quale, sia pure proponendo soluzioni non sempre coincidenti, si pone comunque in posizione fortemente critica, sostenendo la necessità di evitare disparità di trattamento tra appellato ed appellante (al quale è inibita la proposizione di censure successive e diverse rispetto a quelle contenute nell’atto di appello); e di evitare inoltre disparità di trattamento tra il convenuto in primo grado (assoggettato alle rigorose norme contenute negli artt. 167, 171 comma secondo, 180 e 183 c.p.c.) ed il convenuto in secondo grado» – fonda la propria decisione, di continuità coi precedenti nonostante l’introduzione del regime delle preclusioni, su varie motivazioni: a) è richiamato un consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità (è espressamente citata, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4009 del 20/03/2001, Rv. 544946-01); b) il rinvio contenuto nell’art. 347, comma 1, cod. proc. civ. alle norme in primo grado riguarda «le forme e i termini» della costituzione ma non anche le decadenze che a tale atto si accompagnano, in quanto – una volta che la parte si sia ritualmente costituita nel rispetto delle prescrizioni degli artt. 347 e 166 cod. proc. civ. – «resta ancora integralmente da affrontare tutta la ben diversa ed autonoma problematica concernente l’individuazione delle difese che debbono essere contenute nel primo atto difensivo (o alla prima udienza o comunque entro un primo termine) e delle altre difese che (eventualmente) possono essere proposte in atti (o udienze o comunque termini) successivi»; c) sotto il profilo letterale, il richiamo alle forme e ai termini per la costituzione in primo grado può essere rivolto soltanto alla disposizione dell’art. 166 cod. proc. civ. che, come indica la rubrica, disciplina la «Costituzione del convenuto», mentre le decadenze sono regolate dagli artt. 167 («Comparsa di risposta») e 180 («Udienza di prima comparizione e forma della trattazione»); d) non è possibile applicare alla costituzione nel secondo grado la disciplina delle barriere preclusive dettata per il primo grado, dato che quest’ultimo, nel prevedere la distinzione tra l’udienza di comparizione e quella di trattazione e il termine intermedio per sollevare le eccezioni, ha una struttura incompatibile con l’appello; e) è artificioso estendere all’appello il solo primo comma dell’art.167 cod. proc. civ. (e, quindi, limitatamente alla parte in cui stabilisce che «Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese»), sia perché si applicherebbe parzialmente una norma J unitaria, sia perché, «se il legislatore nel 1995 ha ritenuto di dettare una nuova e più rigorosa disciplina solo per il primo grado, ha evidentemente (pur se implicitamente) mostrato di non voler innovare in modo corrispondente la disciplina dell’appello»; f) tale ultima argomentazione – con cui si giustifica la disomogeneità delle discipline di primo e di secondo grado – giustifica anche la disparità di trattamento (censurata in dottrina) tra appellante, tenuto ad esporre tutte le sue difese nell’atto introduttivo, ed appellato, abilitato a sollevare questioni (anche nuove) sino all’udienza di precisazione delle conclusioni, trattandosi di scelta del legislatore che non può ritenersi illogica in ragione della diversità di posizioni delle parti processuali.Ritiene il Collegio che il menzionato precedente di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15427 del 10/08/2004 possa essere rivisto alla luce della successiva evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha riguardato le barriere preclusive; peraltro – come si esporrà più diffusamente nel prosieguo – la fattispecie allora esaminata concerneva la riproposizione ex art. 346 cod. proc. civ. di un’eccezione (di prescrizione) formulata rispetto alla domanda attorea (che era stata respinta in primo grado), mentre nella causa de qua sono state riproposte in appello le domande di garanzia e di regresso già avanzate nei confronti di terzi e rimaste assorbite dal rigetto in prime cure delle istanze dell’attore principale. In primis, si rileva che il filone giurisprudenziale al quale ha aderito Cass. 15427/2004 è costituito principalmente da sentenze che esaminano appelli regolati dalle disposizioni antecedenti all’introduzione delle preclusioni processuali: il mutamento radicale apportato dalla novella del 1995 ad un sistema in cui alle parti era consentito l’ampliamento del thema decidendum (quasi) senza limiti impone un ripensamento delle soluzioni ermeneutiche già adottate, certamente poco rigorose, ma conformi all’ordinamento allora vigente. Non si può, infatti, invocare l’autorità dei precedenti (oltre a Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4009 del 20/03/2001, Rv. 544946-01, richiamata nella decisione impugnata, riguardano cause antecedenti alla novella Cass., Sez. 3, Sentenza n. 413 del 12/01/2006, Rv. 586211-01, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 24182 del 30/12/2004, Rv. 578592-01, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 824 del 25/01/2000, Rv. 533142-01) quando l’intero sistema processuale è stato profondamente modificato dal legislatore del 1995 (e ancor più dal legislatore del 2006), né possono costituire fonte di convincimento le pronunce (anche successive) che – a differenza di Cass. 15427/2004 – richiamano in maniera tralatizia i precedenti anteriori alla riforma senza dar conto del diverso assetto normativo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14458 del 19/11/2001, Rv.550343-01; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12490 del 28/05/2007, Rv. 597509-01). Peraltro, il suddetto orientamento giurisprudenziale, pur prevalente, non era univoco, potendosi rinvenire pronunce di legittimità che affermavano, invece, la necessità di riproporre le domande ex art. 346 cod. proc. civ. con la comparsa di risposta (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8758 del 27/04/2005, non massimata sul punto, e Cass., Sez. L., Sentenza n. 756 del 27/01/1987, Rv. 450450- 01) oppure con la memoria di risposta nel rito del lavoro (Cass., Sez. L, Sentenza n. 6426 del 16/07/1996, Rv. 498581-01; successivamente – ma con precipuo riferimento al rito del lavoro – Cass., Sez. L., Sentenza n. 18901 del 07/09/2007, Rv. 598866-01). In secondo luogo, si osserva che potrebbe essere ingiustificatamente restrittiva la lettura dell’art. 347, comma 1, cod. proc. civ.: nel richiamare per la costituzione in appello «le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale» la norma ha ellitticamente voluto includere anche le decadenze che necessariamente si accompagnano alla costituzione del convenuto: difatti, non avrebbe senso disporre il rispetto dei «termini» (ex art.166 cod. proc. civ., « almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione») senza collegare alla loro violazione le conseguenti sanzioni processuali (id est, le preclusioni, dalle quali discendono le decadenze) e, parimenti, il rinvio alle «forme» non può non riguardare anche la comparsa di risposta (disciplinata nell’art. 167 cod. proc. civ., al quale, peraltro, rimanda lo stesso art. 166 cod. proc. civ.) e i suoi contenuti e, cioè, le difese che la parte è tenuta a svolgere con quell’atto (non occorre scomodare la filosofia greca per affermare che nel diritto processuale, «la forma è sosta n za »). Pertanto, l’art. 347, comma 1, cod. proc. civ. dovrebbe essere interpretato in combinato disposto con gli artt. 166 e 167 cod. proc.civ. e, dunque, la costituzione in appello dovrebbe avvenire ricalcando la disciplina del primo grado, in quanto compatibile, riguardo ai tempi e alle forme e alle difese che debbono essere svolte, a pena di decadenza, col primo atto difensivo. Anche l’obiezione riguardante la diversa struttura del processo nei diversi gradi del giudizio non sarebbe insuperabile. Pur dovendosi escludere un impiego diretto degli artt. 166 e 167 cod. proc. civ. nell’appello, le predette disposizioni sono comunque applicabili al giudizio di secondo grado nei limiti della loro compatibilità con le peculiarità di quest’ultimo (del resto, la giurisprudenza ha previsto che anche le forme della citazione in appello – per le quali l’art. 342 cod. proc. civ. rinvia all’art. 163 cod. proc. civ. – debbano essere riadattate al gravame: in proposito, Cass., Sez. U., Sentenza n. 9407 del 18/04/2013, Rv. 625811-01, e Cassa, Sez. 3, Sentenza n. 341 del 13/01/2016, Rv. 638609-01). Il principale ostacolo frapposto da Cass. 15427/2004 consisteva nell’impossibilità di individuare nel secondo grado le due barriere preclusive che, nelle norme vigenti tra il 30 aprile 1995 e il 10 marzo 2006, caratterizzavano il processo innanzi al tribunale: entro il termine per la costituzione tempestiva dovevano essere proposte le domande riconvenzionali e le istanze nei confronti dei terzi (rectius, le richieste di chiamata in causa dei terzi nei cui confronti spiegare o estendere domande), mentre il limite per formulare eccezioni processuali o di merito era spostato ad un momento successivo (20 giorni prima dell’udienza di trattazione). L’argomentazione è certamente fondata per quanto riguarda le eccezioni non rilevabili d’ufficio: ritenere che nel previgente sistema processuale fosse prevista una preclusione alla loro riproposizione in appello al momento scandito per la costituzione tempestiva dell’appellato avrebbe significato ravvisare per il secondo grado un regime ancor più rigoroso che per il primo.Invece, già nel sistema processuale vigente tra il 30 aprile 1995 e il 10 marzo 2006, un particolare rigore caratterizzava le domande del convenuto, sia le riconvenzionali nei confronti dell’attore, sia quelle rivolte nei confronti di terzi, posto che la barriera preclusiva era ineludibilmente fissata in un momento anteriore alla prima udienza di comparizione; la distinzione aveva (e ha tuttora) un fondamento logico, se si riflette sul fatto che le eccezioni condizionano il thema decidendum, ma – a differenza delle domande – non ne determinano un ampliamento sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo. L’esigenza di delimitare, mediante le preclusioni, il thema decidendum prima dell’udienza di comparizione delle parti (sottesa all’art. 167 cod. proc. civ.) era, dunque, già avvertita dal legislatore del 1995 anche in relazione al processo di appello (del resto, l’evoluzione delle normative sopravvenute dimostra che – dopo la copernicana rivoluzione del 1995 – il legislatore ha via via perseguito un progressivo affinamento delle questioni trattate nella controversia attraverso una loro selezione nei gradi successivi al primo). Infatti, correlato al sistema delle preclusioni, il principio tantum devolutum quantum appellatum impone che l’oggetto del gravame venga celermente delineato dalle parti in un momento anteriore all’udienza di trattazione di cui all’art. 350 cod. proc. civ., sì da consentire una più celere trattazione del processo senza comprimere il diritto di difesa di alcuna delle parti. Conseguentemente, potrebbe ragionevolmente argomentarsi che il richiamo in appello degli artt. 166, 167 e 180 cod. proc. civ. (nella formulazione ratione temporis vigente) si atteggiasse diversamente a seconda che ad essere riproposte fossero domande oppure eccezioni. Per le eccezioni in rito o di merito la soluzione offerta da Cass.15427/2004 appare, quindi, ragionevole e coerente con la disciplina allora dettata per le preclusioni: difettando nel secondo grado un termine intermedio tra le udienze di comparizione e di trattazione, la barriera preclusiva del primo grado non era compatibile con l’appello e, perciò, le eccezioni potevano essere riproposte ex art. 346 cod. proc. civ. fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. La conclusione, però, potrebbe essere difforme per le domande condizionate da riproporre in appello ex art. 346 cod. proc. civ.: posto che la loro idoneità ad estendere – sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo – il thema decidendum le accomuna alle domande riconvenzionali e a quelle rivolte verso i terzi chiamati nel primo grado, anche la disciplina per la loro introduzione in secondo grado potrebbe essere simmetricamente applicata (stante il rimando dell’art. 347, comma 1, cod. proc. civ.), fatti salvi i necessari adattamenti degli artt.166 e 167 cod. proc. civ. Di conseguenza, una volta analizzato il menzionato precedente giurisprudenziale, occorre stabilire se anche prima della riforma legislativa del 2006 la riproposizione delle domande nei confronti dell’appellante o di altri appellati dovesse ritenersi soggetta a una barriera preclusiva, coincidente con il termine fissato per la costituzione dell’appellato. La questione assume indiretta rilevanza anche per le impugnazioni alle quali è applicabile la novella entrata in vigore il 1° marzo 2006. L’unificazione delle udienze ex artt. 180 e 183 cod. proc. civ. e la fissazione di un’unica barriera preclusiva (l’art. 167 cod. proc. civ. prescrive oggi che entro il termine per la costituzione il convenuto «a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio» e, «se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’art. 269») parrebbero idonee a superare l’obiezione formulata da Cass. 15427/2004: difatti, le norme individuano una barriera preclusiva unitaria – sia per le domande (anche quelle riproposte ex art. 346 cod. proc. civ.), sia per le eccezioni in rito e di merito (da riproporre, purché non siano state oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure; sul punto v. Cass., Sez. U., Sentenza n. 11799 del 12/05/2017, Rv. 644305-01) – anteriore di 20 giorni alla prima udienza del processo in primo grado e, simmetricamente, la stessa barriera dovrebbe operare in appello. Così opinando, nel sistema processuale al quale si applicano le disposizioni del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 (non nella controversia de qua), la disposizione secondo cui «nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda» (art. 167 cod. proc. civ.) esplicherebbe i suoi effetti anche nel processo di appello (in virtù del richiamo contenuto nell’art. 347, comma 1, cod. proc. civ.) e pure con riguardo alle eccezioni non rilevabili d’ufficio. Vi sono poi ulteriori argomenti da vagliare. La menzionata decisione di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15427 del 10/08/2004, Rv. 575944-01, richiamando le insindacabili scelte legislative, sminuisce l’argomentazione dottrinale che denuncia una ingiustificata diversità tra il regime delle severe preclusioni innanzi al tribunale e il sistema eccessivamente indulgente dell’appello: a ben vedere, però, la legge non ha né voluto, né determinato una così stridente disparità, posto che il rinvio ex art. 347, comma 1, cod. proc. civ. alle norme per la costituzione del convenuto ex artt. 166 e 167 cod. proc. civ. consente una lettura simmetrica della disciplina dei due gradi del giudizio, tanto che all’irrigidirsi delle preclusioni del primo grado potrebbe farsi conseguire, in via interpretativa, un automatico irrigidimento delle barriere preclusive nel secondo. Nell’interpretazione del dettato normativo, poi, non può essere trascurata la ratio legis che impernia l’intero sistema delle preclusioni processuali, il quale non è posto soltanto a tutela del diritto di difesa delle parti, bensì a presidio dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, tanto che le preclusioni devono essere rilevate d’ufficio dal giudice, indipendentemente dall’atteggiamento della controparte al riguardo (ex multis, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3806 del 26/02/2016, Rv. 638877-01, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4901 del 02/03/2007, Rv. 596275-01): preferendo una soluzione ermeneutica maggiormente corrispondente al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, dovrebbe impedirsi la riproposizione delle domande fino all’udienza di precisazione delle conclusioni perché questa comporterebbe necessariamente la protrazione del giudizio, quantomeno per garantire alle controparti il diritto di interloquire sul thema, reintrodotto in limine dall’appellato (senza considerare, inoltre, che le sopravvenute disposizioni degli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. presuppongono una completa esposizione di tutte le argomentazioni dei contendenti affinché il giudice possa immediatamente pronunciare, se del caso, l’ordinanza di inammissibilità dell’appello). Infine, è indispensabile considerare l’esigenza di assicurare la difesa delle altre parti: a voler ritenere ammissibile la riproposizione delle domande di garanzia (o di regresso) in un momento processuale successivo a quello prescritto per la costituzione dell’appellato (finanche all’udienza di precisazione delle conclusioni), rischierebbe di essere pregiudicato o minorato il diritto ex art. 24 Cost. delle parti destinatarie di tali richieste. Queste ultime, infatti, non potrebbero utilmente controdedurre o sollevare eccezioni alla prima udienza del processo di appello che, invece, è deputata allo svolgimento delle ulteriori difese determinate da iniziative processuali di altre parti diverse dall’appellante principale (l’individuazione dell’udienza ex art.350 cod. proc. civ. quale sede destinata alla reazione delle parti avversarie si desume dall’art. 343, comma 2, cod. proc. civ., che disciplina espressamente la proposizione dell’appello incidentale conseguente all’impugnazione di un altro appellato).5. In conclusione, per decidere la controversia, occorre dare risposta al seguente quesito: se – nel sistema di preclusioni introdotto con il d.l. n. 432 del 1995, convertito dalla legge n. 534 del 1995 e in forza del combinato disposto degli artt. 346, 347, 166, e 167 cod. proc. civ. – la domanda di garanzia o di regresso condizionata all’accoglimento della domanda principale già respinta in primo grado debba essere riproposta dall’appellato, a pena di decadenza, con la tempestiva costituzione in appello e, cioè, entro i termini stabiliti per la costituzione nei procedimenti davanti al tribunale oppure se, in mancanza di una barriera preclusiva, la riproposizione delle predette domande possa essere effettuata anche successivamente e fino alla precisazione delle conclusioni. 6. Opina il Collegio che si tratti di questione di massima di particolare importanza, sia per la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia per la sentita esigenza nomofilattica che caratterizza l’interpretazione di norme disciplinanti il rito dell’appello (oggetto di decisioni di tutte le Sezioni della Corte). Ricorrono perciò le condizioni per rimettere gli atti al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite…”

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