Sbirciare tra le email dell’ex convivente integra il reato di cui all’art. 616 c.p.

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La Quinta Sezione della Cassazione Penale ha affermato che integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 cod. pen.) e non la fattispecie prevista dall’art. 617, comma 1, cod. pen., la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell’archivio di posta elettronica della prima.

Trattasi della sentenza  n. 12603 /2017 (ud. 02/02/2017 – deposito del 15/03/2017); sul sito della Corte si può leggere la MOTIVAZIONE.

Ecco il testo delle due disposizioni codicistiche:

616. Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza. 

Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 .

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni .

Il delitto è punibile a querela della persona offesa”.
617. Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche.  Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni indicate nella prima parte di questo articolo.
I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio  nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per «corrispondenza» s’intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza”.

La Corte ritiene che la possibile interferenza tra le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617 c.p. (determinata dalla comune previsione della condotta di colui che prende cognizione della corrispondenza o delle comunicazioni altrui) sia solo apparente. In realtà le stesse hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617 e che invece non sono previste nell’art. 616. Sostiene la Cassazione che non è dubitabile che sul piano concettuale la “corrispondenza” costituisca null’altro che una species del genus “comunicazione”, ma è altrettanto indubbio che nell’ambito dell’art. 617 c.p. quest’ultimo termine non identifichi il genus nella sua astratta omnicomprensività, ma assuma un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo “dinamico” della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero, come suggeriscono anche l’ulteriore termine dispiegato per definire l’oggetto materiale del reato (“conversazione”) e le condotte alternative a quella di fraudolenta cognizione idonee ad integrare il fatto tipico (interrompere ed impedire). Allo stesso modo, nell’art. 616 c.p., l’evocazione del concetto di “corrispondenza” risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale ed anche in questo caso il contenuto delle altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere) conforta le conclusioni rassegnate. In tal senso deve allora concludersi che la condotta contestata all’imputato – e cioè aver preso cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra Tizia  ed Caio conservata nell’archivio di posta elettronica della prima – proprio in virtù della configurazione del suo oggetto materiale, deve essere ricondotta all’alveo dell’art. 616 commi 1 e 4 c.p. e non già, come ritenuto dai giudici di merito, a quello degli artt. 617 comma 1 (anche tenendo conto della sua integrazione ad opera dell’art. 623-bis c.p.). Riqualificazione questa, che, in quanto sollecitata dallo stesso ricorrente, può essere senz’altro operata in questa sede.  

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