Social network ed illeciti penali.

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La Terza sezione ha affermato che il reato di illecito trattamento dei dati personali, realizzato in forma di diffusione dei dati protetti – ex art. 167 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 vigente ratione temporis -, resi ostensibili ai frequentatori di un social network attraverso il loro inserimento, previa creazione di un falso profilo, sul relativo sito, ha natura di reato permanente, caratterizzandosi per la continuità dell’offesa arrecata dalla condotta volontaria dell’agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dell’altrui sfera personale mediante la rimozione dell’account.

Lo afferma la Sentenza n. 42565 /2019 (ud. 28/05/2019 – deposito del 17/10/2019) della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso

Un soggetto crea un falso profilo su un sito internet di chat e utilizza le generalità di una terza persona (ovviamente ignara del tutto).

Sia in primo che in secondo grado viene ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 167 del d. Igs. 30/06/2003, n. 196 e propone ricorso in cassazione.

La Corte respinge il motivo di ricorso con cui si invocava la prescrizione sulla base del presupposto che il reato fosse istantaneo.

Afferma la Corte: “3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si assume che il reato de quo si sarebbe estinto per intervenuta prescrizione in data anteriore a quella della sentenza di secondo grado, è inammissibile per manifesta infondatezza. La Corte territoriale ha osservato: a) che, a seguito delle indagini della Polizia postale, era emersa la registrazione, con i dati personali della persona offesa, in data 27/04/2010, di un account sul sito ciaoamigos; la registrazione era avvenuta attraverso un IP riconducibile all’utenza telefonica mobile intestata all’imputato; b) che dal 15 al 29/05/2010 la persona offesa era stata iscritta, mediante tale falso profilo e che, nella stanza denominata “sesso” erano stati inseriti i dati personali della prima. Ora, il capo di imputazione per il quale è intervenuta condanna (capo a) concerne proprio la comunicazione dei dati personali inseriti in tale stanza sino al 29/05/2010. L’art. 167 del d. Igs. n. 196 del 2003, nel testo vigente ratione temporis, incriminava la condotta di chi, al fine di trarre per sé o per altri profitto o di recare ad altri un anno, procedesse al trattamento di dati personali, in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129. L’art. 4, comma 1, lett. b) del medesimo d. Igs. nel testo allora vigente identificava il dato personale come qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili anche indirettamente; la precedente lett. a) identificava, per quanto ora rileva, il trattamento come qualunque operazione o complesso di operazioni concernenti la comunicazione e la diffusione di dati (le nozioni sono oggi rispettivamente riprodotte, in termini sostanzialmente sovrapponibili, ai fini del presente procedimento, nei numeri 1 e 2 dell’art. 4 del regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, richiamato nell’attuale art. 1 del d.lgs. n. 196 del 2003. Ciò posto, l’attività di diffusione,…I intendersi come la conoscenza dei dati fornita ad un numero indeterminato di soggetti (v., ora, l’art. 2 -ter, comma 4, lett. b) del d. Igs. n. 196 del 2003; all’epoca dei fatti, la nozione era contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. m) dello stesso d. Igs.). Secondo una distinzione da tempo recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Sez. 2, n. 4393 del 04/12/2018 – dep. 29/01/2019, Maniscalco Zuela, Rv. 274902) i reati istantanei sono quelli nei quali l’azione antigiuridica si compie e si realizza definitivamente col verificarsi dell’evento, cosicché in tale momento il reato stesso viene ad esaurirsi. Sono permanenti, invece, i reati in cui, nonostante il realizzarsi dell’evento, gli effetti antigiuridici non cessano, ma permangono nel tempo per l’impulso della intenzionale condotta dell’agente. Nel caso di specie, la condotta di diffusione, in quanto programmaticamente destinata a raggiungere un numero indeterminato di soggetti, si caratterizza per la continuatività dell’offesa derivante dalla persistente condotta volontaria dell’agente (che ben avrebbe potuto rimuovere i dati personali resi ostensibili ai frequentatori del soda! network). Ne discende che l’illecito, perfezionatosi nel momento di instaurazione della condotta offensiva, si è consumato, agli effetti di cui all’art. 158, primo comma, cod. pen., dal giorno in cui è cessata la permanenza, ossia dal 29/05/2010. Il termine di prescrizione di sette anni e mezzo, derivante dall’applicazione degli art. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., era pertanto destinato a spirare il 29/11/2017. Tuttavia, occorre considerare la sospensione del processo, per astensione della difesa, dal 20/02/2014 al 08/01/2015, per 322 giorni, talché si giunge al 17/10/2018, epoca successiva alla data della sentenza di secondo grado. Sulle conseguenze dell’intervenuta scadenza del termine, si rinvia alle considerazioni svolte infra sub 5″

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