La forma del contratto di cd. advisoring

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Con riferimento a contratto di cd. advisoring, il regime di cui all’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 – che prevede la forma scritta “ad substantiam”, e dunque a pena di nullità, rilevabile d’ufficio ed eccepibile anche dalla controparte della P.A. – prevale su quello previsto dall’art. 23, comma 3, TUF – che prevede che la mancanza della forma scritta sia rilevabile dal solo cliente e quando cliente sia una P.A. solo da questa – dovendosi privilegiare la tutela dell’interesse al regolare svolgimento dell’attività amministrativa e di tutela della risorse pubbliche, in attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost.

Questo è il principio stabilito dalla Cassazione Prima  Sezione Civile con Ordinanza n. 25631 del 27/10/2017 (Clicca qui per leggere la sentenza sul sito della Cassazione)

La questione giuridica che viene per la prima volta all’esame della Corte riguarda il rapporto tra la forma scritta prevista per la generalità dei contratti della P.A. – risalente all’art. 17 r.d. n. 2440/1923 e, per i Comuni, all’art. 87 del r.d. n. 383 del 3 marzo 1934 – che è ad substantiam, quindi a pena di nullità, rilevabile d’ufficio ed eccepibile anche dalla controparte della P.A., salvo che sulla validità del contratto sia formato un giudicato (Cass. n. 12880/2010, n. 1702/2006), e la forma scritta dei contratti di intermediazione finanziaria, la cui mancanza, a norma dell’art. 23, comma 3, t.u.f., è rilevabile solo dal cliente e, quando cliente sia una P.A., solo da quest’ultima, cioè nella fattispecie dal Comune di Taranto (cfr. anche gli artt. 117, comma 1, e 127, comma 2, del t.u.b., approvato con d. Igs. 1 settembre 1993, n. 385, cd. t.u.b.). 

La Corte ritiene di aderire al primo orientamento.

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