Licenziamento, reintegra e maturazione delle ferie.

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La Sezione Lavoro della Cassazione con sentenza n. 451 del 10.01.2019 ha sollevato questione pregiudiziale diretta ad accertare se l’art. 7 par. 2 della direttiva n. 88 del 2003 e l’art. 31 p. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni o prassi nazionali in base alle quali, cessato il rapporto di lavoro, non sia dovuto il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie e permessi per festività soppresse, maturate e non godute, per fatto imputabile al datore di lavoro, con riguardo al periodo intercorrente tra il licenziamento dichiarato illegittimo e la successiva reintegra.

Ecco il link per leggerla.

È stata posta la questione dell’accertamento se spetti o meno al lavoratore, nell’ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo, l’indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi che, ove il lavoratore non fosse stato estromesso dall’azienda, sarebbero maturati nell’arco temporale compreso tra il recesso e la reintegrazione.

La Corte di appello di Roma ha respinto la pretesa richiamando precedenti giurisprudenziali della Corte Suprema di Cassazione (Cass. 8.7.2008 n. 18707; Cass. 23.10.2000 n. 13953; Cass. 5.5.2000 n. 5624) in cui si affermava che era necessario, ai fini del riconoscimento del suddetto diritto, la circostanza dello svolgimento dell’attività lavorativa non essendo rilevante che questa fosse stata impedita dal rifiuto della prestazione addebitabile al datore di lavoro.

La ricorrente ha contestato tale statuizione sollecitando -nelle memorie illustrative attraverso una formulazione sufficientemente chiara della questione di diritto dell’Unione, rilevabile comunque in ogni stato e grado del giudizio anche ex officio alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte- la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE su detto specifico punto, coinvolgente l’interpretazione dell’art. 7 par. 2 della Direttiva 2003/88 nel caso in cui il lavoratore non abbia potuto fare valere il proprio diritto alle ferie annuali retribuite per ragioni indipendenti dalla propria volontà: questione che è prodromica alla decisione di questo Collegio, come in seguito sarà illustrato.

LE DISPOSIZIONI GIURIDICHE PERTINENTI

Diritto dell’Unione.

L’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, intitolato prevede quanto segue: • Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sicure e dignitose. • Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite.

Ai sensi dei considerando 4 e 5 della direttiva 2003/88:

• Il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico.

• Tutti i lavoratori dovrebbero avere periodi di riposo adeguati. Il concetto di “riposo” deve essere espresso in unità di tempo, vale a dire in giorni, ore e frazioni d’ora. I lavoratori (dell’Unione) devono beneficiare di periodi minimi di riposo giornaliero, settimanale ed annuale e di adeguati periodi di pausa (….). 23. L’art. 7 di tale direttiva, intitolato , è del seguente tenore:

• Gli stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

• Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da una indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro. L’art. 17 di tale direttiva prevede che «gli stati membri possano derogare a talune disposizioni di quest’ultima. Tuttavia nessuna deroga è ammessa per quanto riguarda l’articolo 7 della stessa».

Diritto italiano

L’art. 36, 3 cpv, della Costituzione Italiana recita: «Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi».

L’art. 10 del D.Igs. n. 66 del 2003 prevede, nella versione attualmente vigente: • Fermo restando quanto previsto dall’art. 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiori a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti de settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. • Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. • Nel caso di orario espresso come media ai sensi dell’articolo 3 comma 2, i contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità di registrazione.

La contrattazione collettiva del 7.12.2000 per le Banche di Credito Cooperativo, Casse Rurali ed Artigiane, applicabile alla ricorrente ratione temporis, prevedeva: Art. 52 (Ferie): • (..-) • Il diritto alle ferie è irrinunciabile. Le ferie devono essere usufruite nel corso dell’anno solare cui si riferiscono. • Nel caso di cessazione del rapporto di lavoro, al lavoratore che non abbia usufruito in tutto o in parte delle ferie relative all’anno solare in corso, maturate (per i casi non ordinati dai primi tre commi che precedono in tema di turni) in ragione di un dodicesimo del periodo di ferie annuali per ogni mese intero di servizio prestato dal 1° gennaio, compete una indennità corrispondente alla retribuzione dei giorni di ferie perduti. • Nel caso di assenza dal servizio, il periodo di ferie spettante viene ridotto di tanti dodicesimi quanti sono i mesi interi di assenza. • Se l’assenza è causata da malattia o infortunio, la riduzione ordinata dal comma precedente non si applica per i primi sei mesi, ovvero per 180 giorni in caso di assenza causata da malattia od infortunio non continuativi, salvo che l’assenza duri l’intero anno. • I giorni di accertata infermità intervenuta nel corso delle ferie, infermità che il dipendente deve immediatamente denunciare all’Azienda, non sono computati nella durata delle ferie. • (….) Art. 53 (permessi per ex festività):A fronte delle disposizioni di legge in materia di giorni festivi, sono attribuiti giorni di ferie e/o di permesso retribuito, da usufruire nel corso dell’anno solare, anche in collegamento con i periodi di ferie. • (….). • I permessi sopra previsti comunque non utilizzati nel corso dell’anno solare, come gli eventuali resti inferiori ad un giorno, vanno liquidati sulla base dell’ultima retribuzione percepita nell’anno di competenza.

LA MOTIVAZIONE DEL RINVIO

La necessità di adire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia è dovuta alla prospettazione di una questione sottoposta a questa Suprema Corte -giudice di ultima istanza e, quindi, obbligato ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (già art. 234 del Trattato che istituisce la Comunità Europea) al rinvio pregiudiziale- che: a) riguarda l’interpretazione dell’art. 7 (par. 2) della direttiva 2003/88 nonché dell’art. 31 punto 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, congiuntamente o autonomamente considerati; b) è rilevante ai fini della decisione della controversia; c) non può essere decisa alla stregua di precedenti sentenze della CGUE non essendo la sua esegesi auto-evidente in quanto sullo specifico punto sussistono dubbi interpretativi. Il problema interpretativo, oggetto del suddetto rinvio, si è posto in termini più pregnanti alla stregua delle recenti pronunce della CGUE, in materia di diritto alle ferie annuali retribuite e alla luce di un orientamento ben delineato della Corte di legittimità italiana. In particolare, esso riguarda il riconoscimento del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi per festività soppresse, maturate e non godute, per fatto imputabile al datore di lavoro (licenziamento dichiarato illegittimo con provvedimento definitivo dell’AG) con riguardo al periodo intercorrente tra il recesso e la successiva reintegra. E’ opportuno premettere che, secondo la costante giurisprudenza del diritto dell’Unione, il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione (sentenza del 20.7.2016 Maschek, C-341/15 EU:C:2016:576, punto 25 e giurisprudenza ivi richiamata); ad esso non si può derogare e la sua attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 (vedi sentenza del 12.6.2014 Bollacke, C-118/13, EU:C:1755 punto 15 e giurisprudenza ivi citata). Con l’intento di garantire l’osservanza di tale diritto fondamentale sancito dal diritto dell’Unione, l’articolo 7 della direttiva 2003/88 non può essere oggetto di interpretazione restrittiva a scapito di diritti che il lavoratore trae da questa (vedi sentenza del 12.6.2014, Bollacke, C-118/13, EU:C:2014:1755 punto 22 e giurisprudenza ivi citata). Tale diritto, conferito a ciascun lavoratore, è espressamente sancito dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, alla quale l’articolo 6, paragrafo 1 TUE, riconosce lo stesso valore giuridico dei Trattati (sentenze dell’8.11.2012, Heimann e Toltschin, C-229/11 e C- 230/11, EU:C:2012:693, punto 22; sentenza del 29.11.2017, King, C-241/16, EU:C:2017:914, punto 33, nonché sentenza del 4.10.2018, Dicu, C-12/17, EU:C:12/17, EU:C:2018:799, punto 25). Il diritto alle ferie annuali costituisce solo una delle due componenti del diritto alle ferie annuali retribuite quale principio essenziale del diritto sociale dell’Unione, in quanto tale diritto alle ferie annuali retribuite comprende anche il diritto all’ottenimento di un pagamento. Infatti, l’espressione «ferie annuali retribuite», utilizzata dal legislatore dell’Unione, tra l’altro, all’articolo 7 della direttiva 2003/88, significa che, per la durata delle ferie annuali ai sensi del medesimo, la retribuzione deve essere mantenuta. In altre parole, quest’ultimo deve continuare a percepire la retribuzione ordinaria nel corso di tale periodo di riposo e di svago (sentenza del 6.11.2018, Bauer e Willmeroth e a. C-569/16 e C-570/16, EU:C:2018:871 punto 39 e giurisprudenza ivi citata). La finalità del diritto alle ferie annuali retribuite, conferito a ciascun lavoratore dall’art. 7 della direttiva 2003/88, è di consentire al lavoratore stesso, da un lato, di riposarsi rispetto all’esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e, dall’altro, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione (sentenza del 20.1.2009, Scultz-Hoff e a., C-350/06 e C-520/06, EU:C:2009:18, punto 25, nonché sentenza del 4.10.2018, Dicu, C-12/17, EU:C:2018:799, punto 27). Tale finalità è basata sulla premessa che il lavoratore abbia effettivamente lavorato durante il periodo di riferimento. Infatti, l’obiettivo di consentire al lavoratore di riposarsi presuppone che tale lavoratore abbia svolto un’attività che, per assicurare la protezione della sua sicurezza e della sua salute prevista dalla direttiva 2003/88, giustifica il beneficio di un periodo di riposo, di distensione e di ricreazione. Pertanto, i diritti alle ferie annuali retribuite devono, in linea di principio, essere determinati in funzione dei periodi di lavoro effettivo svolti in forza del contratto di lavoro (sentenza del 4.10.2018 Dicu, C-12/17, EU:C:2018:799, punto 28). Tuttavia, il diritto ad una indennità finanziaria per ferie retribuite non godute è stato riconosciuto anche al lavoratore che non sia stato in grado di fruire di tutte le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione del rapporto di lavoro, in particolare perché era in congedo per malattia per l’intera durata o per una parte del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto (sentenza del 20.1.2009, Scultz-Hoff e a., C-350/06 e C-520/09, EU:C:2009:18 punto 62, sentenza del 20.7.2016, Maschek, C-341/15, EU:C:2016:576, punto 31, nonché sentenza del 29.11.2017, King C-214/16, EU:C:2017:914, punto 65). Analogamente il diritto ad una indennità finanziaria è stato riconosciuto in caso di decesso del lavoratore perché si è detto che, se l’obbligo di pagamento di una simile indennità dovesse estinguersi a causa della fine del rapporto di lavoro dovuta a decesso del lavoratore, tale circostanza avrebbe la conseguenza che un avvenimento fortuito comporterebbe retroattivamente la perdita totale del diritto stesso alle ferie annuali retribuite, quale sancito dal suddetto articolo 7 della direttiva (sentenza del 12.6.2014, Bollacke, C118/13, EU:C:2014:1755, punti 25, 26 e 30; sentenza del 6.11.2018, Kreuziger, C-619/16, EU:C::872, punto 33). 38. Come precisato nella sentenza del 6 novembre del 2018, Bauer e Willmeroth e a. C-569/16 e C-570/16, EU:C:2018:871, «occorre infine ricordare che la Corte ha già avuto occasione di precisare che l’espressione «ferie annuali retribuite» di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, la quale dev’essere assimilata a quella di «ferie annuali retribuite» utilizzata all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, significa che, per la durata delle ferie annuali ai sensi di tali disposizioni, la retribuzione deve essere mantenuta e che, in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2011, Williams e a., C-155/10, EU:C:2011:588, punti 18 e 19)». Come ricordato al punto 39 della citata sentenza Bauer, il diritto alle ferie annuali costituisce solo una delle due componenti del diritto alle ferie annuali retribuite in quanto principio essenziale del diritto sociale dell’Unione che si riflette nell’articolo 7 della direttiva 93/104 e nell’articolo 7 della direttiva 2003/88, nel frattempo espressamente sancito come diritto fondamentale all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta. Tale diritto fondamentale include anche un diritto all’ottenimento di un pagamento nonché, in quanto diritto intrinsecamente collegato a detto diritto alle ferie annuali «retribuite», il diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro. A tale riguardo, possono essere apportate limitazioni a questo diritto solamente rispettando le rigorose condizioni previste all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, e, in particolare, il contenuto essenziale di tale diritto. In tal senso, gli Stati membri non possono derogare al principio derivante dall’articolo 7 della direttiva 2003/88, letto alla luce dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta, principio secondo cui un diritto alle ferie annuali retribuite non può estinguersi alla fine del periodo di riferimento e/o del periodo di riporto fissato dal diritto nazionale, quando il lavoratore non è stato in condizione di beneficiare delle sue ferie (v., in tal senso, sentenza del 29 novembre 2017, King, C-214/16, EU:C:2017:914, punto 56 – punti 57-59, della citata sentenza). Da quanto riportato può, quindi, evincersi, a parere del Collegio, che tra diritto alle ferie retribuite ed espletamento dell’attività lavorativa durante il periodo di riferimento, non vi è un netto automatismo e, comunque, possono incidere fattori esterni non imputabili al lavoratore ai fini del riconoscimento di una indennità sostitutiva.

In tema di licenziamento va, poi, evidenziato che la giurisprudenza italiana è consolidata nel ritenere che, accertata in sede giudiziaria l’illegittimità del recesso, ove trovi applicazione la tutela reale, il dipendente ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro. La sentenza che dispone la reintegrazione del lavoratore ha efficacia ripristinatoria del rapporto di lavoro nel senso che questo deve intendersi ricostituito ad ogni fine giuridico ed economico sulla base della sola pronuncia del giudice, senza la necessità di un atto di riassunzione da parte del datore di lavoro. Invero, l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento ed il conseguente ordine di reintegrazione ai sensi dell’art. 18 legge n. 300 del 1970 comportano la ricostituzione “de iure” del rapporto di lavoro il quale va considerato, quindi, come mal risolto. A seguito e per effetto della pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, il rapporto di lavoro tra le parti deve ritenersi ripristinato e, d’altra parte, se così non fosse, non sarebbe possibile l’intimazione di un secondo licenziamento (cfr. tra le altre, Cass.29.1.2008 n. 2139; Cass. 20.9.2005 n. 18497). E’ stato, poi, affermato (da ultimo Cass. 29.11.2016 n. 24270) che, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, l’attribuzione al lavoratore delle retribuzioni percepite dalla data di intimazione del licenziamento fino all’esercizio del diritto di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione non comprende l’indennità sostitutiva delle ferie non godute, né i permessi per riduzione mensile dell’orario di lavoro, attesa la loro natura sia risarcitoria che retributiva, che spettano unicamente nel caso in cui il lavoratore, essendo in servizio effettivo, abbia svolto la propria attività nel corso di tutto l’anno senza fruirne, in quanto il dipendente licenziato, nel periodo intercorrente tra il recesso e l’esercizio dell’opzione per l’indennità, si trova in una situazione, sia pure “forzata” di riposo. Alla stregua di tale stato della normativa e della giurisprudenza del diritto dell’Unione ed italiana, il dubbio interpretativo che si pone è quello, pertanto, di accertare se, in un contesto in cui il rapporto di lavoro, sospeso per fatto illegittimo addebitabile alla parte datoriale ma formalmente in atto, in virtù di un provvedimento giurisdizionale definitivo con efficacia ex tunc, il lavoratore, il quale non abbia potuto espletare la propria prestazione per un accadimento non imputabile ad esso, abbia o meno diritto al pagamento della indennità sostitutiva per le ferie maturate ma non godute, limitatamente al periodo intercorrente tra il recesso e la reintegrazione: ciò a tutela di un diritto fondamentale del diritto sociale dell’Unione, riconosciuto dall’art. 31 paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, di cui è titolare e che non ha potuto esercitare. Tale ultima disposizione si pone, altresì, quale ulteriore parametro di necessaria considerazione, cui la Direttiva 2003/88 dà espressione concreta. La questione di diritto dell’Unione, a parere del Collegio, è ricevibile in quanto, in considerazione della particolarità del caso, differente per presupposti da quelli esaminati dalla Corte di Giustizia riguardanti situazioni di congedo per malattia, disoccupazione parziale e congedo parentale, attiene ad un profilo peculiare (impossibilità di esercizio del diritto per fatto illegittimo del datore di lavoro) dell’interpretazione dell’art. 7 par. 2 della direttiva 2003/88 e dell’art. 31 della Carta. 46. E’, inoltre, rilevante nella soluzione del caso concreto, avendo ad oggetto il procedimento pendente innanzi a questa Autorità Giudiziaria proprio la richiesta di detta indennità per un periodo in cui la Canestri risultava sospesa dal lavoro in virtù di un atto di recesso risultato illegittimo, per poi essere reintegrata e successivamente di nuovo licenziata fino alla cessazione del rapporto di lavoro: questione in relazione alla quale l’interpretazione del diritto dell’Unione si pone in termini pregiudiziali rispetto alla decisione di questa Corte. Questa Corte ritiene di non dovere seguire la strada indicata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 269 del 2017, del preventivo incidente di costituzionalità posto che il diritto alle ferie è anche garantito dalla Costituzione all’art. 36 terzo comma; a tal fine rileva questo Collegio che le indicazioni sono espresse in un «obiter» non vincolante per il giudice comune, essendo contenute in una decisione di inammissibilità, per un profilo, e di rigetto, per il resto, e -in ogni caso- che la Corte delle leggi italiane, anche nelle ipotesi in cui una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione Italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza sovranazionale, allorché si tratti di questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ha fatto salvo il potere del Giudice ordinario di disporre rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE (v. punto 5.2). Il dialogo diretto con la Corte di Giustizia risulta essere, nel presente caso, lo strumento più diretto ed efficace per accertare la compatibilità del diritto interno con le disposizioni dell’Unione ed i principi posti a tutela dei diritti fondamentali stante la chiara prevalenza degli aspetti concernenti il contestato rispetto del diritto dell’Unione sui profili nazionali (cfr. Cass. n. 13678/2018; Cass. n. 12108/2018 e Cass. n. 6101/2017).

LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, nella composizione in intestazione indicata, in considerazione di quanto sopra esposto, sottopone alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE: 1) Se l’art. 7 par. 2 della direttiva 2003/88 e l’art. 31 punto 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, anche separatamente considerati, debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni o prassi nazionali in base alle quali, cessato il rapporto di lavoro, il diritto al pagamento di una indennità pecuniaria per le ferie maturate e non godute (e per un istituto giuridico quale le cd. “Festività soppresse” equiparabile per natura e funzione al congedo annuale per ferie) non sia dovuto in un contesto in cui il lavoratore non abbia potuto farlo valere, prima della cessazione, per fatto illegittimo (licenziamento accertato in via definitiva dal giudice nazionale con pronuncia comportante il ripristino retroattivo del rapporto lavorativo) addebitale al datore di lavoro, limitatamente al periodo intercorrente tra la condotta datoriale e la successiva reintegrazione.

Per tali motivi la Corte ha disposto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, di sottoporre, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia UE la questione.

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