Aste giudiziarie e delitto di estorsione.

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La Seconda Sezione Penale della Cassazione ha affermato che configura il reato di estorsione la condotta dell’aggiudicatario provvisorio nella procedura di esecuzione immobiliare – cui ha partecipato “per persona da nominare”- consistita nel farsi consegnare dal debitore esecutato una somma di denaro in cambio della rinuncia a proseguire nel procedimento sino alla aggiudicazione definitiva del bene.

La sentenza è la n. 11979/2017 ( ud. 17/02/2017 – deposito del 13/03/2017). Sul sito della Corte la MOTIVAZIONE.

Questo che segue è il passo più significativo della motivazione.

Benché l’autonomia negoziale consenta ai privati di concludere contratti atipici volti a soddisfare al meglio il loro assetto di interessi, ciò non toglie che i negozi stipulati nell’esercizio di tale prerogativa debbano essere diretti a realizzare finalità meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Altrimenti, il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla validità del contratto, dovrà dichiararne la nullità. Ciò precisato, va evidenziato, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, come la stipulazione di un accordo, avente ad oggetto la rinunzia all’aggiudicazione definitiva del bene (trattandosi nella specie di vendita senza incanto, come emerge dal verbale in data 16/1/2008 fol. 13 del fascicolo del P.M.), non sia espressione di un legittimo esercizio dell’autonomia negoziale, ma risulti precluso in ragione di espressi divieti di carattere positivo imposti dall’ordinamento giuridico e relativi proprio alla natura del procedimento di espropriazione immobiliare e, in particolare, del sub-procedimento di vendita. Trattasi, invero, di procedimento che, a differenza di quello di cognizione, di regola dominato dal principio dispositivo, non permette “private” intrusioni, se non nei limiti “fisiologici” derivanti dalla stessa funzione del processo esecutivo per espropriazione, che per definizione si rivolge a soggetti estranei al processo stesso, per intercettarne l’interesse all’acquisto e realizzare, quindi, la sua finalità tipica: la trasformazione del bene pignorato in denaro, onde soddisfare i creditori nella successiva fase distributiva. Allorché la tutela del diritto soggettivo si scontra con la tutela della libertà, lo Stato-ordinamento non ammette alternative, non rilascia deleghe, né temporanee investiture ad altri e.,. solo con i propri organi e procedure consente che la volontà renitente sia forzata, con un accorto dosaggio di sostituzione e coercizione. La volontà privata viene lasciata operare finché si tratta di raggiungere effetti satisfattivi analoghi a quelli dell’esecuzione con meccanismi sostanziali che hanno un fondamento consensuale, ma quando l’iter della finale soddisfazione passa attraverso un’incidenza nella sfera giuridica dell’obbligato che non può semplicemente derivarsi da una di lui previa volontaria soggezione, ecco dunque che diviene obbligata la procedura giurisdizionale-coattiva, l’unica i cui effetti possano essere assunti come propri dall’ordinamento.

E passando la tutela dei diritti attraverso un’attività sostitutiva, autoritativa e, talvolta coercitiva, ma sempre intrusiva nella sfera patrimoniale e di libertà dell’esecutato, alla relativa fase procedimentale non può non riconoscersi valenza statuale. E ciò in ragione degli stessi obiettivi avuti di mira, di cui s’è in parte detto poc’anzi: la soddisfazione dei crediti nell’ottica del rispetto della par condicio creditorum (al fine di realizzare compiutamente ed autoritativamente la responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 cod. civ.), la certezza del diritto e l’utilità sociale. Ma la valenza pubblicistica si coglie, altresì, anche con riguardo alla vendita forzata, la quale, lungi dall’essere un negozio di diritto privato in cui il creditore agisce come una sorta di mandatario ex lege del debitore, è diretta espressione di un potere dello Stato, esercitato tramite l’organo giurisdizionale, finalizzato ad un effetto traslativo che non si riconduce allo scambio dei consensi, ma ad una serie di atti (incluso il pagamento finale del prezzo) che appartengono al procedimento. Di conseguenza, è un fuor d’opera parlare di posizione soggettiva derivante dall’aggiudicazione (provvisoria) del bene che legittima il suo titolare a disporne in via negoziale: a prescindere dalla considerazione che, trattandosi nella specie di vendita senza incanto, come già detto, l’aggiudicazione in favore del ricorrente fu definitiva, occorre pur sempre considerare che all’aggiudicazione consegue l’obbligo di acquistare il bene, il che avviene solo a seguito della emissione del decreto di trasferimento, esitato dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 586 cod. proc. civ. dopo che questi abbia verificato l’integrale versamento del prezzo. E ciò è tanto vero che, in caso di inadempimento, è espressamente previsto che la procedura incameri la cauzione a titolo di “multa”, somma che poi andrà a comporre la massa attiva da distribuirsi, ai sensi dell’art.509 cod. proc. civ. In tal senso depone chiaramente la disposizione di cui all’art.587 cod. proc. civ., intitolata “inadempienza dell’aggiudicatario” e l’espresso riferimento alla multa quale tipica sanzione. Già nella struttura tipizzata del procedimento esecutivo immobiliare, quindi, l’inadempimento dell’aggiudicatario costituisce un comportamento che accentra su di sé un particolare disvalore sociale, costituito dal pregiudizio arrecato all’attuazione delle finalità pubblicistiche a cui la fase esecutiva è normativamente destinata; il che non può non valere, a maggior ragione, per la volontaria rinunzia all’aggiudicazione. A conferma di ciò, depone anche l’ulteriore previsione dell’art. 177 disp. att. cod. proc. civ., titolata “dichiarazione di responsabilità dell’aggiudicatario”, secondo cui l’aggiudicatario inadempiente è condannato, con decreto del giudice dell’esecuzione, al pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita. Ciò sta indubbiamente a significare che l’ordinamento considera deleterio un esito infruttuoso della procedura, come lo stesso dilungarsi della stessa in conseguenza della rinuncia (o anche, più semplicemente, dell’inadempimento) dell’aggiudicatario. Non si tratta, dunque, di far discendere un divieto alla disponibilità, in capo all’aggiudicatario, di rinunciare all’acquisto definitivo del bene “dall’asserita mancanza di una previsione normativa al riguardo”, ma di dare atto dell’esistenza di una preclusione desumibile da diverse disposizioni che assegnano al processo esecutivo e alla fase della vendita l’unica ed obbligata finalità di alienazione coattiva del bene. Pertanto, un “mercimonio” della situazione di vantaggio conseguente all’aggiudicazione del bene, del tipo di quello effettuato dal legale nel caso in esame, costituisce uno specifico sviamento della finalità tipica del procedimento di vendita e si pone in contrasto anche con il limite dell’utilità sociale imposto dall’art. 41, comma 2, della Costituzione all’autonomia privata. Ne consegue, quindi, la contrarietà a norme imperative dell’accordo concluso dal ricorrente col debitore esecutato, stante l’illiceità della causa. 4.2. Peraltro, per completezza, e trattasi di profili che verranno in rilievo anche con riferimento all’oggettività giuridica, va evidenziato come sia del tutto infondato sostenere che il bene, in conseguenza della rinunzia all’aggiudicazione che l’imputato avrebbe operato in funzione dell’accordo, sarebbe tornato ad assolvere pienamente alla sua funzione di garanzia senza alcun pregiudizio per la procedura esecutiva. Infatti, essendo il ricorrente l’unico partecipante alla vendita in questione, la sua rinunzia avrebbe imposto la fissazione di una nuova successiva vendita alle medesime condizioni, con allungamento e dispendio sia dei tempi procedimentali che di quelli volti alla soddisfazione dei creditori. Inoltre, non è affatto “scontato” che il bene venga rivenduto allo stesso prezzo di quello oggetto della precedente aggiudicazione, non potendo escludersi, ovviamente, che anche il nuovo esperimento avesse esito infruttuoso e occorresse quindi disporne uno ulteriore, con prezzo base d’asta inferiore. E’, quindi, evidente il pregiudizio certamente arrecato ai creditori, costretti a subire una postergazione del momento del proprio soddisfacimento, pur a fronte della legittima aspettativa che il sub-procedimento di vendita, in cui l’odierno ricorrente s’era reso aggiudicatario, giungesse al suo esito naturale, mediante il pagamento del prezzo. Infine, a fronte dell’asserto secondo cui il debitore esecutato, in ragione della rinunzia, avrebbe guadagnato tempo, così disponendo ulteriormente dell’immobile, va invece precisato che l’ulteriore prolungarsi della fase della vendita avrebbe certamente esposto il debitore esecutato al pagamento di maggiori somme a titolo di interessi, considerato che l’apertura del processo esecutivo non “congela” la decorrenza degli stessi (a differenza della procedura fallimentare) e, dunque, il quantum del debito. 4.3. L’affermata preclusione alla possibilità di accordi aventi ad oggetto la rinunzia all’aggiudicazione definitiva rende, di conseguenza, ingiusto il profitto avuto di mira in quanto contra ius, posto che il ricorrente, da un lato, non era legittimato a pretenderne l’esborso e, dall’altro, il debitore esecutato a versare il relativo corrispettivo. Non derivando, pertanto, il profitto da alcuna pretesa giuridicamente tutelata, non decisive risultano le obiezioni formulate nel ricorso, laddove censurano la decisione impugnata per avere ricavato il requisito dell’ingiustizia dalle concrete modalità dell’azione. Peraltro, l’affermazione della Corte territoriale di avere l’imputato “strumentalizzato” un procedimento legittimo con mezzi illeciti e distorti assume comunque rilievo non solo ai fini del dolo su cui si dirà innanzi, ma anche ai fini della stessa connotazione di ingiustizia del profitto avuto di mira. Non si tratta, infatti, di affermare il principio che il profitto è non iure allorché sia ottenuto con mezzi “moralmente” discutibili, dovendo il giudice fare applicazione di regole di carattere giuridico. Ma di riconoscere che il requisito dell’ingiustizia può anche derivare dall’uso di mezzi illeciti in quanto contra ius. Ed utilizzare un procedimento civile per scopi estranei alle sue finalità e per conseguire un risultato economico che non gli appartiene rende necessariamente ingiusto quel ricavato, in quanto ingiusto è il fine a cui tende. Al riguardo, questa Corte ha, infatti, affermato che, in tema di delitto di estorsione, l’elemento dell’ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (ex multis Sez. 2, n. 29563 del 17/11/2005, Rv. 234963; Sez. 2, n. 16658 del 31/3/2008, Rv. 239780). 4.4. Infondate sono anche le doglianze riguardo la sussistenza della minaccia. 4.4.1. Correttamente i giudici di merito hanno ravvisato la prospettazione del male ingiusto nella prosecuzione della procedura esecutiva che avrebbe comportato la perdita definitiva del bene in capo al debitore esecutato. Si trattava di un effetto che dipendeva dalla volontà dell’imputato: il trasferimento definitivo del bene era, infatti, condizionato al versamento del prezzo di vendita da parte del ricorrente e all’emissione del decreto di trasferimento da parte del giudice dell’esecuzione. 4.4.2. Né vale ad escludere la minaccia la circostanza che il debitore esecutato, da una tale situazione, avrebbe asseritamente ricavato un vantaggio. Anzitutto va osservato come tale deduzione risulti apodittica e del tutto indimostrata a fronte, invece, di precisi elementi di fatto, aventi carattere notorio, che depongono nel senso di escludere che un ritardo della vendita si risolva sempre in un vantaggio per il debitore esecutato. Infatti, l’ulteriore prolungarsi della fase della vendita avrebbe aumentato la misura degli interessi dovuti dal debitore sulla sorte capitale, considerato che l’apertura del processo esecutivo non “congela” la decorrenza degli stessi e, dunque, il quantum del debito. Inoltre, non sempre accade che l’immobile venga rivenduto allo stesso prezzo di quello oggetto della precedente aggiudicazione, non potendo escludersi che gli esperimenti di vendita successivi si concludano con un ricavo inferiore: il che, correlativamente, si traduce in una minore esdebitazione per l’esecutato, così aggravandosi la sua situazione di incapienza. 4.4.3. Peraltro, per come osservato anche da questa Corte con orientamento richiamato nella sentenza impugnata, la minaccia, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione, non è esclusa dal solo fatto che lo strumento utilizzato per la realizzazione di un profitto ingiusto sia la stipulazione con la persona offesa di un accordo che assicuri, in ipotesi, a questa una qualche utilità (Fattispecie in cui l’assegnatario di un immobile espropriato aveva indotto il debitore ancora nel possesso dell’immobile alla conclusione di un accordo in forza del quale, previa rinuncia all’immediata reintegra nel possesso, l’assegnatario si assicurava il pagamento di una somma di denaro, non dovuta, a titolo di indennità di occupazione; Sez. 2, n. 10542 dell’11/12/2008, dep. 10/03/2009, Rv. 243858; Sez. 2, n. 16656 del 20/04/2010, Rv. 247350). 4.5. Parimenti infondate sono le censure mosse a proposito dell’ingiustizia del danno. Riguardo al profilo del danno questo, in piena aderenza con lo schema tipico dell’estorsione, va individuato nel corrispettivo economico realizzato dal ricorrente in conseguenza della pretesa da questi formulata che, per come sopra evidenziato, è sfornita di alcun fondamento giuridico. Risulta, infatti, che il debitore esecutato versò all’imputato la somma di euro 4.000,00 a titolo di acconto della maggior somma richiesta di euro 8.500,00 affinché il ricorrente rinunziasse alla procedura esecutiva intrapresa. In conseguenza della condotta illecita dell’imputato, il debitore ha subito un pregiudizio di carattere economico nella sua sfera patrimoniale, essendo stato costretto al pagamento di una somma che, secondo legge, non era dovuta. 4.6. Infondate e in parte anche inammissibili risultano le doglianze in tema di elemento soggettivo. 4.6.1. Al riguardo, va infatti osservato come la deduzione difensiva secondo cui, l’avvenuto rilascio, da parte dell’imputato, della ricevuta della somma versata in acconto dal debitoref a fronte della rinuncia all’aggiudicazione, denoterebbe la piena convinzione di agire conformemente alle norme di diritto, risulti smentita mediante il richiamo, operato da entrambi i giudici di merito, a puntuali elementi di fatto e di diritto. Si è correttamente evidenziato come l’imputato non provvide affatto a redigere sua sponte lo scritto, ma che ciò avvenne su esplicita richiesta del debitore esecutato che voleva una ricevuta attestante quanto gli stava versando. Tale ricostruzione, del resto, risulta avvalorata anche da un elemento di natura logica, costituito dalla circostanza che il debitore consegnò all’imputato l’acconto avendo già notiziato, sporgendo denunzia, le forze dell’ordine della richiesta avanzata dal ricorrente. Pertanto, era proprio il debitore esecutato che aveva interesse a far risultare documentalmente la veridicità di quanto denunziato alla polizia giudiziaria. Peraltro, i giudici di seconde cure danno anche atto che l’imputato, allorché consegnò al debitore la ricevuta, gli raccomandò di restituirgliela il giorno successivo. Ciò poi non avvenne in quanto il documento venne consegnato ai Carabinieri che lo sequestrarono. Peraltro, non risulta avere alcun rilievo ai fini dell’esclusione del dolo, il fatto che le parti avrebbero dovuto stipulare successivamente al versamento dell’acconto una scrittura privata. Trattasi, infatti, di adempimento che venne già previsto al momento della ricezione dell’acconto, avendone le parti dato espressamente atto nello stesso foglio in cui venne rilasciata la ricevuta. Quindi, la scrittura avrebbe solo documentato il successivo versamento dell’intero prezzo, per una causale che era stata già ben precisata all’atto del versamento dell’acconto (“da corrispondere a fronte della rinuncia all’aggiudicazione della vendita giudiziaria del Tribunale di Sassari RG n. 213/00 del 16.1.2008″)”.

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